L’Amministrazione capitolina ha intrapreso in questi ultimi anni un ampio programma di riqualificazione urbanistica e ambientale della Città Storica, all’interno del quale è prevista la riqualificazione di via Giulia, una delle strade più belle di Roma. A questo riguardo ieri, un dibattito presso l’Auditorium dell’Ara Pacis dal titolo “La Moretta e via Giulia. Passato e nuove idee si incontrano”, hanno affrontato l’argomento presentando possibili scenari d’intervento. Lungo via Giulia, aperta all’inizio del Cinquecento da papa Giulio II, le demolizioni degli anni Trenta lasciarono una ferita aperta alterando l’equilibrio architettonico per ridisegnare un nuovo assetto urbanistico dell’area centrale della città. Dal dopoguerra si è discusso molto sulle possibili ipotesi di intervento, e negli anni Ottanta è stata avanzata una proposta che non ha avuto seguito poiché ritenuta troppo impattante e poco rispettosa del contesto circostante. Pertanto il vuoto urbanistico di via Giulia non è stato colmato. Accogliamo positivamente l’elaborazione di un piano di recupero di iniziativa pubblica concentrato sul quadrante di via Giulia, volto a rimepire il vuoto urbanistico e ambientale presente lungo la strada nel tratto in asse con Ponte Mazzini, creato a seguito delle demolizioni degli anni Trenta, con la prospettiva di arrivare con un viale fino al Gianicolo. Nonostante questo siamo perplessi per l’assenza del professore Paolo Marconi dalla progettazione di un intervento organico, in virtù della sua esperienza pluridecennale e dei suoi studi storici sul tema specifico. Non vorremmo che la sua posizione storicamente orientata al criterio del recupero filologico, possa averlo svantaggiato rispetto ad altre posizioni orientate su indirizzi modernisti. I progetti presentati ieri sono indubbiamente di grande professionalità, ma a mio parere non tengono conto del meraviglioso contesto rinascimentale dell’area. Le domande sorte ieri uscendo dall’Ara Pacis erano le seguenti: Dov’é Michelangelo? Dov’é Bramante? E’ un paradosso infatti che le università straniere, come ad esempio l’Università di Notre Dame o l’Università di Miami, tengano corsi sull’architettura rinascimentale italiana formando generazioni di giovani professionisti contemporanei che si ispirano a codici di architettura tradizionale, mentre i nostri architetti si ostinano a presentare progetti dal taglio fortemente modernista e decontestualizzato, con esempi non certo positivi come la teca di Meier dell’Ara Pacis. A mio avviso sarebbe stato meglio aprire il concorso di idee non solo ai grandi nomi dello scenario internazionale, ma anche alle eccellenze giovanili italiane e straniere, che dimostrano l’amore per lo straordinario patrimonio monumentale e artistico italiano.